
Ci sono due parabole utilizzate da Gesù per far conoscere ai discepoli che lo ascoltano il regno dei cieli, queste parabole ce lo indicano come qualcosa di grande valore.
Sono la parabola del tesoro nascosto e della perla di gran valore, o del mercante.
Spesso, ( almeno vale per me) si crede di aver ascoltato ( magari solo letto o sentito..) un brano del Vangelo, talmente tante volte, da averne compreso tutto il significato.
In realtà, con lo stupore del bambino che guarda qualcosa di meraviglioso, ci si accorge di ascoltare qualcosa di nuovo, di bello, coinvolgente, fino a scoprire che la Parola di Dio si comprende quanto più ci facciamo docili alla Grazia dello Spirito Santo.
Questo è quanto ho provato ieri, durante l’ omelia di un giovane sacerdote e che mi ha spinto a scrivere questo articolo nella speranza che, anche chi leggerà possa fare questa esperienza di “gioia”
Voglio fare una premessa, quello che segue, non è tutto scritto di mio pugno, (anche se avrei voluto farlo), mi sono limitato a scopiazzare quel che ho ritenuto interessante, con la speranza che quanto leggiate qui di seguito, possa aiutarvi ( come per me), a porsi alcuni interrogativi.

Le parabole del tesoro nel campo e della perla preziosa sono molto simili, gemelle, al punto che
quasi si possono sovrapporre; simili sono anche le due parabole che le precedono, quella del granello di senape e del lievito (Mt 13,31-33).
Sono accomunate dal fatto che presentano due esperienze analoghe e che per descriverle l’evangelista usa gli stessi quattro verbi: «trovare, andare, vendere tutto, comprare».
Nelle parabole di Gesù troviamo molte volte dei tratti inverosimili, sorprendenti, che cercano di farci intuire il di più che è Dio rispetto a ciò che è umano e terreno e la totalità della risposta umana. Anche le parabole del tesoro e della perla preziosa presentano un particolare inatteso, non abituale, eccedente.
L’elemento inatteso non consiste nel tentativo di acquistare l’oggetto prezioso scoperto, ma nel fatto che i due scopritori per fare l’acquisto decidono di vendere tutto quello che hanno. È questo l’elemento anormale, insolito, estremo che accomuna le due parabole e sul quale il narratore vuole attirare l’attenzione degli uditori. Nelle storie antiche di tesori trovati non compare mai, infatti, questo comportamento insolito di qualcuno che vende tutto ciò che ha per acquistare il tesoro.
Va ricordato, invece, che l’immagine del tesoro, del regno di Dio che giustifica tutte le rinunce, ricorre altrove nei vangeli (Mc 10,21; Mt 6,19-21; 10,37-39; Lc 12,51-53; 14,33).
Le due parabole presentano anche delle differenze.
La prima parabola mette in luce come un tesoro nascosto e trovato per caso nel campo muova le scelte di un uomo. La seconda parabola paragona invece il regno di Dio all’azione di un mercante che dopo lunghe ricerche ha finalmente trovato una perla preziosa e ne descrive la reazione di fronte alla scoperta. Inoltre la prima parabola ci dice che un uomo si imbatte per caso, per pura fortuna in un tesoro nascosto in un campo, mentre la seconda ci dice che il mercante va deliberatamente in cerca di perle preziose e finalmente ne trova una di grande valore.
In una società dove non vi erano banche o cassette di sicurezza, era normale che oggetti di valore come gioielli, monete, oro e argento venivano spesso nascosti in vasi di terracotta e messi sottoterra (Matteo 25:25) al sicuro in tempi incerti e di guerra.
Lo storico ebreo Giuseppe, racconta, che dopo la conquista di Gerusalemme (70 d.C.), i romani trovarono oro, argento e altri oggetti preziosi sottoterra. A volte accadeva che il proprietario moriva prima di poter recuperare il suo tesoro o lo dimenticava.
Ai tempi di Gesù le scoperte di questi tesori nascosti, erano uno degli argomenti favoriti dei racconti popolari. Gli archeologi hanno trovato spesso vasi di monete d’oro o di gemme preziose e di perle anche sepolto in un campo.
Il regno dei cieli è nascosto, quindi non è conosciuto da tutti (cfr. Matteo 13:11,35).
Quindi il regno dei cieli è un regno nascosto, velato, pertanto, non è facilmente osservabile dall’uomo.
Le verità regno, e, in generale, le verità spirituali non sono immediatamente comprensibili per l’uomo naturale ed è necessaria la rivelazione, l’insegnamento e l’illuminazione dello Spirito di Dio. (Giovanni 14:26; 16:13; 1 Giovanni 2:20,27).
Nella prima parabola, Gesù ci dice che Il tesoro è stato trovato in modo provvidenziale. “Averla trovato” (ehurōn – aoristo attivo participio) indica una scoperta inaspettata, come quando per esempio i due discepoli di Giovanni Battista erano con lui e videro Gesù che passava da quelle parti e sentirono le parole di Giovanni a Suo riguardo che era l’Agnello di Dio (Giovanni 1:41-45; cfr. Giovanni 2:14; Atti 9:33; 28:14; Genesi 4:14; 1 Samuele 10:2,3).
L’uomo non ha trovato il tesoro perché lo ha cercato, ma lo ha trovato in un modo provvidenziale, è stata una scoperta provvidenziale.
Una persona non credente direbbe: “È stata una fortuna”, o una casualità”, ma una persona spirituale direbbe: “ È stata la grazia di Dio”.
Chi trova un tesoro si rallegra. La parola tradotta con “averlo trovato” è della stessa famiglia di “Eureka”, che è un’esclamazione attribuita ad Archimede che sembra l’abbia proferita quando, entrando in una vasca da bagno e notando che il livello dell’acqua era salito, capì che il volume di acqua spostata doveva essere uguale al volume della parte del suo corpo immerso. Si racconta inoltre che il desiderio di condividere questa scoperta fu talmente grande che egli si mise a correre nudo per le vie di Siracusa.
“Eureka” è un’esclamazione utilizzata semplicemente per esprimere la gioia, la soddisfazione, il trionfo e l’eccitazione per qualche scoperta fatta. L’espressione venne scelta come motto nazionale dalla California per riferirsi alla scoperta di un giacimento d’oro vicino a Sutter’s Mill nel 1848.
Ci si rallegra della scoperta del regno di Dio come chi ha trovato un tesoro che era nascosto, e può dire liberamente: “Eureka!”
Chi ha incontrato Gesù Cristo nel cammino della vita, ed inizia una relazione con Lui, con la sua Parola, chi ha sperimentato la conversione, gioisce (Atti 16:33-34; 8:38-39; Romani 5:11).
Il Salmista dice di Dio: ” Ci sono gioie a sazietà in tua presenza, alla tua destra vi son delizie in eterno” (Salmo 16:11).
In Romani 14:17 è scritto: “Perché il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo”. (Luca 2:10-11; Galati 5:22;1 Pietro 1:8).
La gioia nel Signore deve essere piena e non a metà!
Pensando alla grazia di Dio e a tutte le benedizioni che abbiamo in Cristo Gesù, non possiamo gioire a metà! (Giovanni 15:11; 16:24)
Ma attenzione questa gioia non deve essere confusa con la frivolezza, la gioia va con il tremore (Salmo 2:11). “Servite Dio con timore e con tremore esultate; che non si sdegni e voi perdiate la via. Improvvisa divampa la sua ira. Beato chi in lui si rifugia.”
Dopo la scoperta del tesoro e dopo averlo nascosto, l’uomo va e vende tutto quello che ha, e compra quel campo.
Quell’ uomo è disposto a tutto per avere quel campo dove ha nascosto il tesoro. Molto probabilmente il campo era molto costoso.
Il mondo non stima il regno di Dio come qualcosa di valore, così si pensa che quegli uomini che rinunciano ai piaceri di questo mondo e del peccato, per amore del Regno di Dio sono stupidi e ridicoli.
Gesù ci insegna che non è così, anzi ci fa capire il contrario: “Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo – la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita – non viene dal Padre, ma viene dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno (1 Giovanni 2:15-17).
Per che cosa stai sacrificando la tua vita?
Per che cosa stai spendendo i tuoi soldi, il tuo tempo e le tue energie?
Se è per le cose terrene sappi che queste passeranno via!
La consapevolezza di aver scoperto un tesoro e la decisione di lasciare tutto per averlo richiama
quello che hanno fatto i primi quattro discepoli chiamati da Gesù (Mt 4,18-22) e quello che ha fatto Levi (Mt 9,9-13).
La gioia con la quale il contadino vende i suoi beni prolunga la gioia con la quale
i magi hanno visto nuovamente la stella e hanno aperto davanti a Gesù «i loro tesori» (Mt 2,11); la gioia del contadino anticipa quella delle donne alla vista del Risorto il mattino di pasqua (Mt 28,8).
Essere cristiani vuol dire anzitutto scoprire con gioia il tesoro dell’amore gratuito di Dio, sperimentare la gioia di saperci da lui amati, così come siamo, perché siamo figli suoi, chiamati a una vita che non finirà. Gesù è venuto perché la nostra gioia sia completata (1Gv 1,4):
La gioia è il segno forte di una fede che è grazia, gratuità, gratitudine. Questa gioia o serenità è fondamentale per accettare poi anche la nostra debolezza, la nostra povertà: quella personale e quella di una Chiesa che sembra perdere il suo ruolo nei confronti del mondo; questa gioia ci permette di accettare che la forza del vangelo, la forza dell’amore di Dio cammini su vie umili, deboli e che ci aiutano a rispettare sempre più la libertà dell’altro (Rolando Covi, Per noi uomini e per la nostra salvezza.)
La parabola del mercante di pietre preziose è analoga alla precedente, ma come abbiamo visto presenta qualche differenza. Il mercante scopre la perla di grande valore (polýtimos) non per puro caso, all’improvviso, ma dopo lunghe e accurate ricerche: la parabola tiene conto del comportamento umano, fatto di desiderio e di una ricerca che a volte dura molto tempo. In questa parabola entra in gioco la dinamica del desiderio che diventa ricerca. Il desiderio è un dato costitutivo dell’uomo, esprime la situazione dell’uomo ed è positivo fin tanto che è sete profonda dell’infinito, nostalgia di Dio e perciò sigillo del nostro essere creati a sua immagine; il desiderio è positivo quando è congiunto con l’accettazione dei nostri limiti, della nostra creaturalità, quando non diventa bramosia, ma costituisce un pungolo che ci ricorda che siamo chiamati a crescere, a dare spazio alla meraviglia, alle relazioni e all’operosità.
Finalmente questo ricco mercante, trova una perla che non è soltanto bella, come quelle che cercava abitualmente, ma che è anche di grande valore. Ritiene che questa scoperta sia un grande evento, quasi insperato.
Il mercante si comporta come il bracciante agricolo: anche se si suppone che sia più agiato di lui, non ha però la somma necessaria per entrare in possesso di quella perla di grande valore e perciò non gli resta altro mezzo che vendere tutti i suoi averi. Entrambi, quindi, sacrificano con naturalezza, senza rimpianto tutto quello che hanno per avere quel tesoro, convinti di non sotto-
porsi a un sacrificio, ma di fare un affare.
Questa parabola omette il tema della gioia ma, dato il suo parallelismo con la precedente, è corretto supporre che il mercante provi la stessa gioia dell’uomo che vende tutto per comprare il campo.
Le due parabole hanno un duplice accento: da un lato evidenziano la grandezza di quel tesoro che
motiva un comportamento così radicale del bracciante e del mercante; dall’altro lato sottolineano la prontezza con la quale i due uomini allargano il cuore e decidono di privarsi di tutti i loro averi per poter acquistare quel tesoro. Il bracciante e il mercante sembrano i protagonisti delle parabole, ma in realtà protagonisti sono il tesoro e la perla: il contadino e il mercante prendono importanti decisioni con naturalezza e senza esitazioni solo perché sono afferrati dal tesoro in cui si sono imbattuti.
Quindi le due parabole hanno anzitutto un orientamento teologico, proclamano la preziosità unica del regno dei cieli; poi hanno anche un orientamento antropologico, che mette in luce come i due personaggi sanno cogliere l’occasione che a loro si è presentata: danno priorità a quel tesoro e sono pronti a rinunce costose per farlo diventare loro. All’offerta di Dio (il tesoro o la perla preziosa indicano il regno dei cieli che è venuto tra noi) deve corrispondere la risposta degli uomini. Le due parabole evidenziano che la risposta alla scoperta del regno di Dio consiste nel vendere tutto per possedere quello che si è scoperto. L’accoglienza del regno di Dio non ammette ritardi, remore, non può limitarsi a un vago progetto, a parole, a mezze misure. La risposta deve essere sollecita, spontanea, senza esitazione, fatta con gioia.
Le parabole illustrano alcuni aspetti importanti del regno di Dio e della sua accoglienza da parte nostra.
Anzitutto dicono che il regno di Dio è il vero tesoro e che esso è nascosto nel campo che è il mondo, la nostra vita.
L’uomo è abituato a dare credito a ciò che si vede immediatamente e non al mistero nascosto nel profondo del cuore di Dio, del proprio cuore e nel cuore degli altri uomini.
Il secondo aspetto è che il bracciante vende tutto il poco che ha e il mercante vende tutto il molto che possiede per la gioia di quanto hanno trovato, quindi senza rimpianto, come hanno fatto i primi discepoli di Gesù.
La conversione nasce dall’avere trovato un dono inaspettato, da un incontro che allarga il cuore; il vero discepolo non parla di ciò che ha lasciato o venduto, ma parla sempre di ciò che ha trovato: ha trovato la presenza di Dio.
Poi non invidia nessuno, ma si sente fortunato. La misura del discepolo non sta nel distacco, nel dire la fatica per ciò che ha lasciato, ma nella gioia per ciò che ha trovato, nel voler entrare in possesso del tesoro inaspettatamente scoperto. Il terzo aspetto è la velocità con la quale i due uomini prendono la decisione; i doni di Dio ci interrogano con forza e ci domandano prontezza di risposta: spesso, infatti, sono irripetibili e l’uomo non deve lasciarseli sfuggire.
Queste due parabole mettono in risalto un atteggiamento opposto a quello dell’uomo ricco che non vuole rinunciare a tutti i suoi averi (Mt 19,22), e quello degli invitati a nozze che trovano delle scuse o addirittura ricorrono alla violenza per respingere l’invito, per non partecipare al banchetto (Mt 22,1-10).
Le due parabole del tesoro e della perla preziosa trovano, invece, il loro compimento positivo, concreto nella donna di Betania che “spreca” tutto il suo profumo prezioso, versandolo sul capo di Gesù (Mt 26,7) e suscitando lo sdegno dei suoi discepoli (Mt 26,8).
Si può approfondire ulteriormente il messaggio delle due parabole. Tesoro, perla sembrano parole
rare, da favole, da avventure, ma a ben pensarci sono anzitutto parole da innamorati.
Tesoro, perla sono i nomi che si danno reciprocamente i fidanzati e gli sposi, sono i nomi che i genitori danno ai figli e i nonni ai nipoti. Tesoro, perla in queste parabole sono anzitutto i nomi di Dio. Il volto del fidanzato/a, dello sposo/a, dei figli/e, dei nipoti e delle nipoti, dei fratelli e delle sorelle sono il tesoro, la perla che hai a casa tua e che ti aiutano a capire qualcosa del volto di Dio, della natura del regno dei cieli, cioè del modo con cui tiene si rivela e in mano la nostra vita, l’intera storia. Gesù ci ricorda che il volto di Dio può venirci rivelato da quei tesori, da quelle perle di grande valore che sono gli uomini, a cominciare dai nostri familiari.
E’ facile cadere nella tentazione di alienarsi dal luogo che Dio ha pensato per noi, di confondere quella gioia della novità del servizio al Signore come distacco dalla propria situazione familiare.
Così come chi ha una bella casa, una bella famiglia, ha avuto tante “benedizioni” da Dio, può essere portato a rinunciare a tutto spinto da un amore ” sensazionale”, ma il cuore che ci indica Gesù, non è quello dei sentimenti… bisogna quindi fare un bel discernimento, facendosi aiutare da un sacerdote, una guida spirituale, per scoprire qual è il vero tesoro ( magari già presente ma ancora nascosto ai nostri occhi)
Il tesoro trovato per caso, la perla di grande valore trovata dopo lunghe ricerche è l’amore gratuito di Dio, incarnato e annunciato nelle parole e nelle azioni di Gesù Cristo. Gesù è venuto a rovesciare l’inganno, introdotto del serpente, che mette subito in dubbio la bontà di Dio e lo presenta come un essere lontano, capace solo di dare divieti, perché è invidioso della grandezza dell’uomo, è nemico della sua libertà e della sua conoscenza, non vuole che cresca, che viva, che superi i limiti della sua creaturalità, che realizzi le sue potenzialità, non vuole che diventi sempre più immagine di Dio.
Molte volte abbiamo la forte tendenza a ritenere che dobbiamo meritarci l’amore di Dio: se mi
comporto bene, anche lui mi ama; se mi comporto male, lui mi castiga.
Molte volte sentiamo Dio come un essere potente, capace di premiare e di punire, quindi in fondo da temere, perché non si sa mai. Per molti Dio appare indecifrabile, quasi insopportabile, perché è ritenuto un giudice che colpevolizza e punisce chi sbaglia.
Partendo da queste immagini distorte di Dio, da molti il cristianesimo è percepito come un vestito stretto, come una religione dove prevalgono obblighi da osservare, verità da credere, luoghi da frequentare, riti da celebrare; molti perciò ritengono che si può vivere in modo umano anche senza religione.
Chi si è distanziato dalla fede molte volte lo ha fatto in nome di false immagini su Dio e sulla vita cristiana (R. Covi, pp. 128-130; 135-136).
Il tesoro, la perla che Gesù ha portato e messo a disposizione dell’uomo è l’annuncio dell’amore
traboccante, eccedente di Dio, è l’annuncio che l’amore di Dio supera ogni calcolo: Dio non ruba la
vita, ma la serve; Dio non toglie, ma dona; Dio non è concorrente dell’uomo, ma viandante che accompagna il nostro cammino; Dio sceglie sempre di stare dalla parte dell’uomo, soprattutto quando è debole.
Gesù è venuto a rendere visibile questo amore: guardando a lui, noi cristiani possiamo capire Dio come colui che salva, dona la vita in abbondanza. Quel contadino e quel mercante che hanno trovato il tesoro e la perla preziosa rappresentano l’uomo o la donna che hanno scoperto, per puro caso o dopo accurate ricerche, che l’amore di Dio è all’opera nel mondo, che è un amore gratuito e per questo è sempre un amore eccedente; il contadino e il mercante rappresentano quelli che hanno scoperto che Dio è sempre per l’uomo e che l’uomo è un essere creato per vivere in relazione amicale con Dio, hanno scoperto un Dio che ci ama fino all’estremo e che avvicinarsi a Dio non significa annullare la propria umanità, scomparire, ma è l’unico modo per diventare se stessi, persone in grado di comunicare filialmente con Dio e di vivere la relazione fraterna con gli altri.
Gesù è venuto a dirci che Dio è Padre, che ti avvolge di tenerezza, che ti conosce e ti ama, ti offre
sempre la sua misericordia, e così ti permette di guardare con speranza al tuo oggi e al tuo domani, anche a quello oltre la morte. Gesù presentando Dio Padre come tesoro e perla che ci vuole attirare a sé con la sua carica di affetto.
Noi avanziamo nella vita non mossi dalla paura, non osservando imposizioni, ordini, ma per aver intravvisto la bellezza di Dio, la vita buona, bella del Vangelo.
Il regno di Dio portato da Gesù è un tesoro, perché al suo centro c’è l’amore. Il regno portato da
Gesù è un tesoro, perché egli non è un maestro che ci istruisce e poi ci abbandona a noi stessi: egli è con noi tutti i giorni, anche in mezzo ai nostri limiti, è con noi come amore crocifisso che non inganna mai, è con noi come amore disarmato che non si impone, è con noi come amore che vince ogni male, ogni buio, è con noi come amore indissolubile dal quale nulla ci può separare.
“Mi piace pensare al paragone con i vasi di creta…siamo fragili come la creta, ma custodiamo un tesoro e chi è intorno a noi può vedere, così come avvenne per l’ uomo nel campo, questa luce che affiora dal terreno, può essere un incontro, una parola, un sorriso, il semplice stare lì ed esserci, sempre con la gioia che non deve essere uno sforzo, ma il frutto che da lo Spirito Santo a chi si lascia modellare dalla Parola di Gesù”.
Il regno portato da Gesù è un tesoro perché, quando abbiamo sbagliato, lui stesso prende su di sé il carico dei nostri peccati e ci assicura che la misericordia di Dio Padre non viene mai meno.
Il dono, proprio perché è tale e non è un’imposizione, rispetta la nostra libertà e chiede di essere accolto; alla sua scoperta, casuale o dopo lunghe ricerche, deve rispondere l’accoglienza, l’impegno.
Il contadino e il mercante rappresentano quanti hanno capito che è un vero affare abbracciare la fede in questo Dio, accogliere il suo amore di Dio, perché lui non ci priva di qualcosa, ma aggiunge alla nostra vita ragioni di senso, di gioia, di speranza, di impegno, permette di rileggere in modo nuovo la nostra esistenza vita. Il contadino e il mercante vendono tutto, ma per avere tutto.
Questa vendita può essere intesa come un liberarsi dalle loro precedenti concezioni di Dio e dell’uomo, dalla loro precedente impostazione della vita, perché le sentono inadeguate, sbagliate e si appassionano al possesso del tesoro, della perla.
Questa passione per il possesso del tesoro in fondo diventa una fede fiduciale, abbandono in un Dio che è Padre e che ci destina a una vita senza fine.
(Le fonti contenute in questo articolo, sono state prese da varie pagine di siti internet, in cui non compaiono gli autori; per questo motivo non è stato possibile citarle)