Fonte: “sfero.me” articolo di Alessandro Mellozzini

Nella Pasqua appena trascorsa, a metà della settimana santa, con tutta la nostra numerosa famiglia (io, mia moglie e 5 figli) siamo partiti per Medjugorje.

Non è stato uno di quei viaggi pianificati da tempo, dove tutti i dettagli sono stati previsti fin nei minimi particolari e con mesi di anticipo. È stata piuttosto un’idea sempre più insistente che si è fatta spazio nella mente e nel cuore di chi scrive, prima nel silenzio per qualche settimana, poi sorprendentemente condivisa anche da altri nella famiglia, senza un previo accordo e senza nemmeno crederci troppo. 

Infine, trovata la giusta opportunità, siamo partiti senza troppo pensare per un’avventura che ci ha segnato, chi in un modo chi in un altro, ma tutti molto in profondità.

In un primo tempo avevamo pensato di prendere la nave per il fatto che non tutti in famiglia amano i lunghi viaggi in automobile, ma di fronte all’evidenza di una notevole differenza di costo abbiamo optato per la “circumnavigazione” dell’Adriatico in auto, passando da Trieste e scendendo poi lungo tutta la tratta dalmata fino a questo piccolo paese della Bosnia Herzegovina il cui nome significa in lingua croata “in mezzo alle montagne”: Medjugorje appunto. 

E cosa abbiamo trovato “in mezzo alle montagne”? La risposta dipende dal livello di osservazione: ciò che possono vedere un criceto o una tartaruga dal loro specifico punto di vista è molto differente da quello che può scorgere un aquila dal suo, pur avendo di fronte tutti lo stesso panorama e quindi, umanamente parlando, la risposta è molto semplice e scontata: nulla! Del resto siamo nati e vissuti a Roma, la Caput Mundi…! Cosa può esserci di così interessante in uno sperduto villaggio dell’Herzegovina!? La stessa campagna romana in aprile offre spunti di gran lunga più appetibili, per non parlare della splendida Sabina laziale… 

In effetti è proprio qui che la nostra storia è incominciata, in Sabina. Avevo perso da poco mamma nell’ottobre 2021 e volendo consolare il cuore affranto di mio padre, rimasto tanto solo quanto lucido, nonostante i suoi oltre 90 anni, per non fargli sentire troppo la mancanza di mamma avevamo cominciato ad andare a messa tutti insieme il sabato sera nel santuario di Santa Maria delle Grazie in Ponticelli sabino a pochi minuti di macchina da casa dei miei e dove, da qualche tempo, si trovava spesso a celebrare il compianto padre francescano Cristoforo Amanzi, fondatore della Fraternità Madre della Riconciliazione e della Pace.

Le sue prediche avevano toccato il cuore di tutti in famiglia e in brevissimo tempo l’appuntamento del sabato sera, che ogni due settimane contemplava anche l’Adorazione eucaristica, passò dall’essere un dovere per l’anziano padre, ad un desiderio profondo, accarezzato durante tutto l’arco della settimana fino al suo compimento.

Poco tempo dopo arrivò la triste notizia che Padre Cristoforo aveva lasciato bruscamente questa valle di lacrime ma nonostante questo continuammo a frequentare la Fraternità, anch’essa come me rimasta orfana. Per farla breve venimmo a sapere che la Fraternità disponeva anche di una casa di accoglienza per pellegrini proprio a Medjugorje, dove essa stessa era nata a livello spirituale come pure la vocazione del suo fondatore, e così nacque l’idea del viaggio, complice anche la possibilità di usufruire di qualche giorno di ferie durante la Settimana Santa.

A Medjugorje, dicevo, non c’è nulla di attraente umanamente parlando, ma entrando in questo apparente nulla con animo sincero ed aperto si palesa gradualmente una presenza che scuote l’anima nel profondo e dinanzi alla quale cadono tutte le maschere… Anche quelle che per tante ragioni si impiega una vita intera a costruire e con le quali ci si vorrebbe difendere dalla cattiveria del mondo, molto più che da un virus. Le maschere con le quali si tenta disperatamente di coprire le ferite più profonde del nostro cuore; quelle ferite che ci fanno sentire deboli e vulnerabili e per questo generano in noi un esagerato pudore che scivola spesso nella vergogna.

Ma Gesù dall’alto della sua Croce ha detto: “Donna ecco tuo figlio!” (Gv 19,26)! E quale maschera può coprirci veramente dall’introspezione dello sguardo di una Madre?

Ecco perché a Medjugorje cadono tutte le maschere, proprio tutte. Non regge nemmeno quella del turista più o meno disincantato: non c’è nulla per cui fare davvero il turista.

C’è invece la presenza di una Madre a cui nulla è nascosto di te, della tua vita, dei tuoi fallimenti, delle tue croci ma anche delle tue gioie: tutto è sotto il Sole pieno del Figlio suo che Ella porta in braccio e offre a noi come unica ancora di salvezza in questo desolato pianeta circondato dalle montagne dei nostri errori e, a volte, dei nostri orrori che l’uomo sempre crea con la sua superbia.

Si entra, per mezzo della preghiera e della vita sacramentale e comunitaria, in relazione con un’alterità che dà la giusta misura non solo alla tua vita personale ma anche al tuo stesso essere come uomo e donna battezzati. Le parole di Gesù scavano dentro: “Ecco tua Madre” (Gv 19,27). Nel mostrarci la nostra vera Madre, che Lui stesso ci ha donato in un momento così grave, ci da implicitamente la misura con la quale possiamo valutare in modo corretto tutta la nostra vita e il nostro essere: chi siamo noi? Figli di una tale Madre! Viviamo di conseguenza allora! 

Si rende presente al nostro sguardo interiore tutta la misura di chi siamo realmente. Ritroviamo noi stessi nella misura in cui riusciamo a cogliere la realtà di questa materna presenza che nel mostrarsi a noi con il suo incontenibile amore rivela a noi stessi quel che siamo, senza sterile mortificazione ma come uno sprone per recuperare la nostra vera identità nel tempo che ci è ancora concesso di vivere. Ed è così che tutti i tasselli scompagnati della nostra esistenza trovano finalmente la loro giusta collocazione. Scompare la vergogna e quelle ferite del cuore che volevamo nascondere diventano veramente feritoie da cui traspare la luce del Risorto e del Suo infinito amore.

Analogamente in quella statua grezza, quasi come un’immagine sfocata, sulle pendici del Podbrdo irrompe la luce sfolgorante della reale presenza della Madre di Cristo che illumina le pieghe più nascoste della tua anima. Quando ti rialzi da li ti accorgi all’improvviso che una parte di te è rimasta su quelle pietre, aguzze e taglienti, per non alzarsi mai più.

Anche altre cose hanno toccato i nostri cuori, come l’esperienza dell’acqua che timida scivola da una gamba della statua del Cristo Risorto, vicino la storica parrocchia di San Giacomo, come fossero lacrime ma lacrime di un Dio che si piega fino alla nostra piccolezza di noi che come bambini arriviamo solo fino al suo ginocchio… O come la calorosa accoglienza delle suore della Fraternità Madre della Riconciliazione e della Pace di Medjugorje con le quali si instaura subito un rapporto di schietta amicizia come se ci fossimo conosciuti da sempre… I frutti della Grazia probabilmente, ma tutto non si può dire perché anche le parole dell’uomo hanno il loro limite…

Poi arriva il momento in cui sai che a nulla sarebbe servita questa esperienza se i suoi frutti non vengono portati a maturazione nella vita quotidiana, quella che siamo chiamati a vivere ogni giorno, là dove il Signore ci ha posto. È un po’ come certi racconti che si leggono delle esperienze di pre-morte: rientrare nella tua vecchia vita è come per queste persone che vivono le NDE e poi rientrano nel loro stesso corpo ma lo percepiscono non più come prima, ma come qualcosa di pesante, malandato e dolorante e avrebbero voluto restare per sempre con quella Luce d’amore appena intravista. 

“Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende…” (Lc 9,33). La tentazione di Pietro non è nuova, ma il senso dell’esperienza gli apostoli la potranno cogliere solo poco tempo dopo quando il mondo intero si rivolterà contro il loro Signore… Quindi che piaccia o no si deve, si, tornare ma la vita non sarà più la stessa: qualcosa dentro è cambiato per sempre!

Pubblicato il 25 aprile 2022 alle 18:03 ( vai all’ articolo sul Blog)

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